mercoledì 6 marzo 2013

Nei tempi della crisi...(2)

Ho riflettuto a lungo sull'andar per monti, cercando di comprendere perchè scalo, fatico, sudo, rischio su rocce inanimate, cercando di conquistare l'inutile senza apparente scopo o guadagno.
Ho riflettuto a lungo sul perchè cerco appassionatamente, quasi dolorosamente, il contatto con il verticale, con la difficoltà, con l'incertezza.

Sono sostanzialmente un sognatore, un pragmatico sognatore, innamorato della montagna, delle sue verticalità, alla ricerca di nuove sfide e avventure.
Mi rendo conto di essere più un turista che un alpinista e mai mi definirei tale. Non ho la pretesa di esserlo, non lo sarò mai, probabilmente, perlomeno in termini di scelta di vita. Sicuramente non come chi vi dedica la propria vita, alcune volte completamente, sacrificandola.
Cerco la dimensione verticale per rispondere ad un impulso profondo, e se questa risposta è disarticolata, incoerente, anche spaventata, nondimeno essa è una risposta, è un'azione conseguente alla comprensione del bisogno, pur satura di tutte le mie personali limitazioni e debolezze e paure.
Ad ogni risposta, cioè ad ogni scalata, impresa, avventura, l'impulso invece che essere soddisfatto prorompe impetuoso più forte di prima, spesso durante lo svolgimento della scalata, durante una sosta o l'avvicinamento magari.
Ecco diviene importante trovare nuovi stimoli, nuove sfide, obiettivi, progetti, provando ad alzare il livello, per quanto possano essere semplici ed elementari o arditi e rischiosi. L'impulso che mi muove (e mi permetto di aggiungere, ci muove) è come un pozzo nero profondissimo, incolmabile, insaziabile, totalmente attrattivo e di cui è impossibile scorgere il fondo.
Dentro questo dinamismo senza scopo emerge un egoismo: soddisfare e soddisfarsi sapendo bene che non se ne avrà a sufficienza, che la richiesta tornerà nuovamente e con essa la necessità impellente di rimettersi in moto.
Sembra non esserci la nobiltà tanto blasonata che si racconta.
Eppure il contatto rude, pericoloso, violento con la natura verticale di questo mondo mi migliora, mi rende più sicuro, più deciso, più conscio di me e dei miei limiti e di quanto possano essere superabili.
Allora ciò che mi spinge, quell'impulso che mi porta al rischio, all'egoismo, all'autocelebrazione, è qualcosa di buono?
Cos'è che mi spinge realmente?

E' evidente che non è la scoperta di ciò che ho intorno, di ciò che non conosco del fantasmagorico mondo in cui ho la fortuna di vivere. Non solo e non tanto per questo, forse assolutamente non per questo.
Altrimenti che senso avrebbe ripetere vie diverse sullo stesso monte, magari la stessa parete?
No, nel fondo del pozzo nero c'è l'esplorazione di me stesso. E' il mettermi alla prova su un terreno reale, oggettivo, integralmente non ambiguo, in cui esistono delle regole non scritte ma che non si possono aggirare mai, di cui è possibile conoscere i contorni, netti, definiti, senza che intervengano trucchi o trabocchetti. E' il si passa o si vola declinato in tutte le sue accezioni e nei limiti in cui voglio assumermi un rischio più o meno grande.
E tutto ciò mi mette alla prova e mi permette di scoprirmi come uomo fino in fondo definendomi per ciò che faccio e non per i successi (o i fallimenti) che non sono altro che inutili, che interessano solo le mie personali statistiche. E scopro infatti, ogni volta, che dopo aver lambito e corteggiato i miei limiti, averli lasciati indietro e superati o esserne stato respinto, essi non sono altro che un'autoimposizione, una memoria di ataviche e infantili paure.
Scopro infine che non sono le mie paure, che non vivo dei ricordi del passato o nelle ansie del futuro. Scopro, in quei momenti di adrenalinica passione, che si può vivere completamente il qui ed ora della vita.
Scopro cosa significa essere uomo.

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