venerdì 28 giugno 2013

Recensione - Cold

Gasherbrum II. 2 febbraio 2011. -50°C. Tre figure colorate si muovono nella rarefatta, gelida e inospitale atmosfera della vetta di un ottomila pakistano. L'uomo non appartiene a quei luoghi. Non vi appartiene e non vi può appartenere.
Questo è Cold.


Cory Richards è l'unico americano ad aver scalato un ottomila in inverno. Con una telecamera è riuscito a riprendere l'impresa. Lui e due fortissimi alpinisti, Simone Moro e Denis Urubko che non hanno bisogno di nessuna presentazione.
Il mediometraggio (20 min.) condensa e racconta l'esperienza estrema di questi uomini che hanno infranto un tabù durato 26 anni, che si sono addentrati in un territorio totalmente inadatto alla vita, pericoloso, snervante, fatto di bianchi e grigi, di vento, bufere e, soprattutto, di freddo.
Il film, senza effetti speciali, porta ai limiti quello che altri film non sono riusciti a raccontare. Riesce laddove altri hanno fallito: rendere verosimile ciò che non può esserlo. E il successo c'è perchè quello che viene mostrato non è immaginazione, opera di fantasie o prodotto di sogni più o meno realizzabili.
Il film mostra l'esperienza vera di un sogno, di una chimera, divenuto finalmente realtà. E nel mostrare la realtà ha bisogno di poco: un montaggio, qualche voce fuori campo, qualche flashback.
Non ci sono artifici, costruzioni, sovrastrutture.
L'uomo e la natura. Gli alpinisti e la montagna. La vita e la morte.
Da non perdere per nessun motivo.

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