Alle concitate ed eccitate chiacchiere, che fino a poco prima avevano colmato l'abitacolo dell'automobile di Marco, si sostituirono tre brevi, ma profondi silenzi, intercalati, ma non interrotti, dall'esclamazione di Francesco che sottovoce diceva: "Cazzo!"
Il solito lungo avvicinamento che, anche se fatto di buona lena, ci richiede comunque un'ora e mezza di cammino nel bosco grigio e umido che abita sulle pendici a monte della valle di Selva Grande. L'incedere non è faticoso perchè la neve non è tanta, anzi molti tratti sono scoperti e liberi dove una settimana fa invece completamente imbiancati.
Il vocìo intenso delle cascate alla nostra sinistra ci fan mal pensare a ciò che troveremo una volta giunti nel fosso di Gorzano, ma sono convinto che il ghiaccio si sia mantenuto e quindi continuo a tenere un buon passo fino a giungere nel punto in cui abbandonare il sentiero che conduce sulla cresta ovest del monte Gorzano. Come sperato e intuito le cascate sono là, formate e pronte ad essere salite.
Risaliamo il fosso fino alla cascata sulla sinistra. La cascata di Destra è decisamente più magra della settimana scorsa e il primo salto è quasi staccato dal secondo. La grande di Gorzano è invece bella grassa, anche se un rumore lieve ci fa capire quale sia la situazione reale.
Sul lato sinistro, in corrispondenza di un masso affiorante, sentiamo prima e vediamo poi ruscellare dell'acqua. Il ghiaccio nasconde un flusso costante, in crescendo durante le successive ore, che proviene dall'alto e passa sotto il risalto ghiacciato.
Risaliamo il conoide nevoso dopo esserci ramponati e attrezzati di tutto punto. Adesso tocca a me e quello che vedo da una parte mi appassiona e dall'altra mi intimorisce. Percepisco una certa agitazione nei miei gesti e ho un po' di fiatone. Una domanda mi martella il cervello: "Riuscirò a proteggere?"
Il ghiaccio, infatti, appare decisamente bagnato, in alcuni punti proprio marcio e l'impressione si confermerà durante la salita.
Attacco con calma. Supero con un paio di passi un muretto, poi una sezione appoggiata con neve e molto umida, poi giungo al ghiaccio vero e proprio, adesso proprio verticale.
Proteggo dove posso. In alcuni punti la vite sfonda. Provo più volte fino a trovare ghiaccio discreto sulla sinistra. Mi troverò a progredire così, proteggendo sempre sulla sinistra della linea centrale di progressione.
Salgo. Picca, picca, passo, passo. Picca, Picca, passo, passo.
In alcuni punti il ghiaccio è talmente marcio che il rampone entra fino a creare un piccolo gradino. Molto comodo ma molto poco rassicurante.
Decido di fare un breve run-out per evitare di cuocermi troppo le braccia. Sono nervoso, la qualità dell'elemento mi mente addosso parecchia ansia e stringo troppo le picche, batto con troppa veemenza, mi sto stancando e sono ancora a metà.
Giungo alla fine del tratto più impegnativo e mi decido a proteggere. Cercando qua e là un buon punto dove avvitare la protezione il piede sinistro perde l'aggancio e con esso anche il destro. Mi ritrovo appeso per il solo braccio destro, dopo uno strappo violento. La picca non si è mossa di un millimetro e ringrazio velocemente per tutte le uscite in falesia.
Mi ristabilisco velocemente, riafferro la picca e riprendo a salire. Evito di pensare alle possibili conseguenze di un volo sulle viti con quel ghiaccio.
Gli ultimi metri sono con pendenze decrescenti, ma il ghiaccio è staccato dalla roccia, sotto sento l'acqua che scorre e ogni colpo di picca e ogni ramponata suonano lo strato come fosse un tamburo.
Scavallo e cerco con lo sguardo gli alberi sulla destra a cui puntare per fare sosta, ma sulla sinistra, su un blocco di arenaria i miei occhi vedono una bellissima ed invitante sosta su tre chiodi con cordino e maglia rapida.
Pezzi di ghiaccio si staccano sotto di me mettendo a nudo la roccia. Una breve esitazione poi urlo a Francesco e Marco di stare attenti. Le lastre scivolano, prendo velocità e poi spariscono.
Trattengo il fiato in attesa di qualche grido di dolore, ma non arrivano, così, tranquillizzato, proseguo fino alla sosta. Mi alloggio e attrezzo la doppia.
Scendo e consiglio ai miei due compagni di giocarsela in moulinette.
Parte prima Marco che con sicurezza e tranquillità, nonostante fosse la sua prima volta su ghiaccio verticale, sale fino a spuntare sul soprastante pendio. Scende evitando di sollecitare i lastroni che avevo già rotto in precedenza.
Si lega Francesco e attacca la cascata.
Giunto in corrispondenza della sezione verticale Francesco si ingarbuglia, tentenna, non riesce a posizionarsi correttamente col corpo. All'improvviso uno strappo attutito dall'elasticità della corda e Francesco rimane appeso almeno due, tre metri più in basso di dove si trovava.
Mentre lui tenta nuovamente Marco mi dice che vuole farsi un altro giro.
Francesco, una volta sceso, tira a se la corda per sciogliere il nodo. Sento una botta sulla mano, ma non ci faccio caso: è la corda che strattonata da Francesco mi ha colpito.
Marco torna su sempre in moulinette e fotografa la sosta per documentare la situazione: sarà solo in automobile, che esaminando attentamente le foto della giornata, mi accorgo del colpo di incredibile fortuna che abbiamo avuto.
Dei tre chiodi che componevano la sosta solo uno, quello che rosso che avevo deciso di ribattere perchè si muoveva in maniera preoccupante, ha retto allo strappo che gli imposto il volo di Francesco.
All'intensa soddisfazione della giornata si sovrappone e sostituisce la consapevolezza che, per quanto preparati ed equipaggiati, per quanto sicuri delle nostre capacità e competenze, niente può essere completamente sotto il nostro controllo.
La sosta, quando vi sono giunto, appariva ed era solida. Dei tre chiodi solo uno si muoveva un po' e gli altri due erano in posizione ottimale, lavorando a taglio e non ad estrazione. Per zelo e tranquillità avevo ribattuto il terzo (santo) chiodo rosso nell'illusione che una sosta è sicura per forza. Nell'illusione che gli incidenti capiteranno sempre agli altri.
Avvicinamento: da Amatrice si prosegue verso Campotosto. Giunti al cartello stradale si svolta a sinistra seguendo le indicazioni per Capricchia. Dopo alcune svolte si arriva finalmente al paesino. Prestando la dovuta attenzione si individua una stradina sulla destra con l'indicazione del Sacro Cuore e del Monte Gorzano. Si imbocca la strada (se possibile, chiusa con molto innevamento) e la si percorre fino ad un evidente slargo su fondo asfaltato ma decisamente sconnesso. In ogni caso, si giunge in prossimità della chiesetta e da lì si segue il largo sentiero che si infila subito nel bel bosco. Dopo poco si individua un bivio sulla destra ben segnalato e lo si segue fino ad un altro bivio con in discreta evidenza due segnali (coperti se con molto innevamento, prestare attenzione): sulla sinistra si prosegue per la Trecene Bassa, mentre sulla destra, inerpicandosi in una specie di valletta inclinata si va verso il monte Gorzano. Si prende quest'ultima e si seguono lungamente i bolli bianchi e rossi, fino ad un altro bivio molto ben segnalato: anche qui prendere a destra. Dopo essere usciti su un tratto libero da alberi (sorgente Piani di Fonte) e pianeggiante è necessario prestare attenzione all'andamento del fosso sulla sinistra. Dopo essersi inerpicati ulteriormente nel bosco quando il fosso alla sinistra cambia direzione si abbandona il sentiero (probabili tracce di altri cascatisti) e ci si immette in leggera discesa verso quest'ultimo. La cascata è evidente di fronte una volta guadagnato il fondo del fosso.
Si arranca nella neve accumulata a fondo valle |
Sul lato sinistro, in corrispondenza di un masso affiorante, sentiamo prima e vediamo poi ruscellare dell'acqua. Il ghiaccio nasconde un flusso costante, in crescendo durante le successive ore, che proviene dall'alto e passa sotto il risalto ghiacciato.
Risaliamo il conoide nevoso dopo esserci ramponati e attrezzati di tutto punto. Adesso tocca a me e quello che vedo da una parte mi appassiona e dall'altra mi intimorisce. Percepisco una certa agitazione nei miei gesti e ho un po' di fiatone. Una domanda mi martella il cervello: "Riuscirò a proteggere?"
Il ghiaccio, infatti, appare decisamente bagnato, in alcuni punti proprio marcio e l'impressione si confermerà durante la salita.
Attacco con calma. Supero con un paio di passi un muretto, poi una sezione appoggiata con neve e molto umida, poi giungo al ghiaccio vero e proprio, adesso proprio verticale.
Proteggo dove posso. In alcuni punti la vite sfonda. Provo più volte fino a trovare ghiaccio discreto sulla sinistra. Mi troverò a progredire così, proteggendo sempre sulla sinistra della linea centrale di progressione.
Salgo. Picca, picca, passo, passo. Picca, Picca, passo, passo.
In alcuni punti il ghiaccio è talmente marcio che il rampone entra fino a creare un piccolo gradino. Molto comodo ma molto poco rassicurante.
Decido di fare un breve run-out per evitare di cuocermi troppo le braccia. Sono nervoso, la qualità dell'elemento mi mente addosso parecchia ansia e stringo troppo le picche, batto con troppa veemenza, mi sto stancando e sono ancora a metà.
Giungo alla fine del tratto più impegnativo e mi decido a proteggere. Cercando qua e là un buon punto dove avvitare la protezione il piede sinistro perde l'aggancio e con esso anche il destro. Mi ritrovo appeso per il solo braccio destro, dopo uno strappo violento. La picca non si è mossa di un millimetro e ringrazio velocemente per tutte le uscite in falesia.
Mi ristabilisco velocemente, riafferro la picca e riprendo a salire. Evito di pensare alle possibili conseguenze di un volo sulle viti con quel ghiaccio.
Gli ultimi metri sono con pendenze decrescenti, ma il ghiaccio è staccato dalla roccia, sotto sento l'acqua che scorre e ogni colpo di picca e ogni ramponata suonano lo strato come fosse un tamburo.
Scavallo e cerco con lo sguardo gli alberi sulla destra a cui puntare per fare sosta, ma sulla sinistra, su un blocco di arenaria i miei occhi vedono una bellissima ed invitante sosta su tre chiodi con cordino e maglia rapida.
Pezzi di ghiaccio si staccano sotto di me mettendo a nudo la roccia. Una breve esitazione poi urlo a Francesco e Marco di stare attenti. Le lastre scivolano, prendo velocità e poi spariscono.
Trattengo il fiato in attesa di qualche grido di dolore, ma non arrivano, così, tranquillizzato, proseguo fino alla sosta. Mi alloggio e attrezzo la doppia.
Scendo e consiglio ai miei due compagni di giocarsela in moulinette.
Parte prima Marco che con sicurezza e tranquillità, nonostante fosse la sua prima volta su ghiaccio verticale, sale fino a spuntare sul soprastante pendio. Scende evitando di sollecitare i lastroni che avevo già rotto in precedenza.
Si lega Francesco e attacca la cascata.
Giunto in corrispondenza della sezione verticale Francesco si ingarbuglia, tentenna, non riesce a posizionarsi correttamente col corpo. All'improvviso uno strappo attutito dall'elasticità della corda e Francesco rimane appeso almeno due, tre metri più in basso di dove si trovava.
Mentre lui tenta nuovamente Marco mi dice che vuole farsi un altro giro.
Francesco, una volta sceso, tira a se la corda per sciogliere il nodo. Sento una botta sulla mano, ma non ci faccio caso: è la corda che strattonata da Francesco mi ha colpito.
Marco torna su sempre in moulinette e fotografa la sosta per documentare la situazione: sarà solo in automobile, che esaminando attentamente le foto della giornata, mi accorgo del colpo di incredibile fortuna che abbiamo avuto.
Dei tre chiodi che componevano la sosta solo uno, quello che rosso che avevo deciso di ribattere perchè si muoveva in maniera preoccupante, ha retto allo strappo che gli imposto il volo di Francesco.
All'intensa soddisfazione della giornata si sovrappone e sostituisce la consapevolezza che, per quanto preparati ed equipaggiati, per quanto sicuri delle nostre capacità e competenze, niente può essere completamente sotto il nostro controllo.
La sosta, quando vi sono giunto, appariva ed era solida. Dei tre chiodi solo uno si muoveva un po' e gli altri due erano in posizione ottimale, lavorando a taglio e non ad estrazione. Per zelo e tranquillità avevo ribattuto il terzo (santo) chiodo rosso nell'illusione che una sosta è sicura per forza. Nell'illusione che gli incidenti capiteranno sempre agli altri.
Avvicinamento: da Amatrice si prosegue verso Campotosto. Giunti al cartello stradale si svolta a sinistra seguendo le indicazioni per Capricchia. Dopo alcune svolte si arriva finalmente al paesino. Prestando la dovuta attenzione si individua una stradina sulla destra con l'indicazione del Sacro Cuore e del Monte Gorzano. Si imbocca la strada (se possibile, chiusa con molto innevamento) e la si percorre fino ad un evidente slargo su fondo asfaltato ma decisamente sconnesso. In ogni caso, si giunge in prossimità della chiesetta e da lì si segue il largo sentiero che si infila subito nel bel bosco. Dopo poco si individua un bivio sulla destra ben segnalato e lo si segue fino ad un altro bivio con in discreta evidenza due segnali (coperti se con molto innevamento, prestare attenzione): sulla sinistra si prosegue per la Trecene Bassa, mentre sulla destra, inerpicandosi in una specie di valletta inclinata si va verso il monte Gorzano. Si prende quest'ultima e si seguono lungamente i bolli bianchi e rossi, fino ad un altro bivio molto ben segnalato: anche qui prendere a destra. Dopo essere usciti su un tratto libero da alberi (sorgente Piani di Fonte) e pianeggiante è necessario prestare attenzione all'andamento del fosso sulla sinistra. Dopo essersi inerpicati ulteriormente nel bosco quando il fosso alla sinistra cambia direzione si abbandona il sentiero (probabili tracce di altri cascatisti) e ci si immette in leggera discesa verso quest'ultimo. La cascata è evidente di fronte una volta guadagnato il fondo del fosso.
Materiale nda, 8-10 viti da ghiaccio medie (16-19, qualcuna corta), eventualmente cordino da abbandono e maglia rapida per sostituire la sosta sugli alberi a destra. Nel caso di sosta sui chiodi portare un martello per ribatterli e assicurarsi della loro solidità.
Disl. via: 35m
Durata: 1h
Avvicinamento e rientro: 1h30' dal Sacro Cuore, 2h da Capricchia
Avvicinamento e rientro: 1h30' dal Sacro Cuore, 2h da Capricchia
Diff.: II+/3+
Bellissima esperienza.....da rifare quanto prima. Abbiamo imparato, per fortuna senza conseguenze fisiche, che se una sosta non sicura (ovvero non resinata o non spittata tipo falesia) viene sollecitata con più cadute, è meglio non continuare a stuzzicarla ;) .... la prox volta vado da primo :). complimenti a Te che sei andato da primo e che soprattutto ti sei fatto il pezzo difficile tutto d'un fiato....
RispondiElimina"Pezzi di ghiaccio si staccano........ Le lastre scivolano, prendo velocità e poi spariscono.
RispondiEliminaTrattengo il fiato in attesa di qualche grido di dolore.................."
Tranquillo sono dolorante nel fisico con un bel livido sulla schiena per la lastra ricevuta e nella mente nel pensare al caro chiodo che ha retto e soprattutto della mia "giornata No".
Complimentoni comunque a te Bruno che fra un pò tocca narcotizzarti per starti dietro e non ultimo Marco come prima esperienza.
Esperienza da replicare sicuramente con condizioni diverse, alla prossima.....
Mi spiace per la botta, per fortuna non ci sono state conseguenze. Per la giornata no sai perfettamente che ci può stare e per il resto... è andata bene e che mi sia e ci sia di lezione.
EliminaGrazie Francesco....mi ci sono trovato proprio bene!!! :) A prestissimo
EliminaAll'uscita della cascata dovrebbe essere presente, o perlomeno c'era gli anni scorsi, una sosta a spit e sulla destra ci sono degli alberi con cordini e maillon rapide.
RispondiEliminaComunque i chiodi a fessura sull'arenaria non sono mai affidabili.
La cascata dopo la vostra salita è crollata visto che il giorno dopo non c'era più.
Non mi piace fare il grillo parlante ma non mi piace neanche che la gente si faccia male: stiamoci con la testa!
Vi auguro una buona continuazione di stagione.
Ciao
Guido Amurri
Ciao,
Eliminasoste a spit non ne ho viste ma forse non ho guardato dopo aver visto quella a chiodi. Quando l'abbiamo salita portava acqua ma era solida, altrimenti, ovviamente, non l'avremmo scalata: con la testa ci stiamo! (tanto è ver che l'unico chiodo che ha retto è quello che mi sono premurato di ribattere).
Grazie e a presto.