martedì 12 agosto 2014

Corno Piccolo - Panza-Muzii-Forti - V - 235m

Di nuovo sulla parete nord del Corno Piccolo con un compagno fresco fresco di convocazione, su una via che invece è la più anziana fra quelle tracciate su questo versante. La Panza-Muzii-Forti è datata 1949 e, dopo esserci passato, ancora una volta mi inchino di fronte a chi ha saputo sognare e percorrere una linea laddove non era mai stato pensato di salire con mezzi, materiali e tecniche con cui oggi non si andrebbe neanche a passeggiare.

Sotto la nord del Corno Piccolo
Partiamo con tanta calma, forse troppa, e questo ci costerà una discesa a rotta di collo per non perdere la la funivia (e quindi un'oretta di sentiero fino al parcheggio). I Prati, però, in questa calda domenica estiva sono belli, bellissimi. Auto parcheggiate, tanta gente, moltissimi alpinisti che prendono gli impianti, preparano il materiale, semplicemente chiacchierano.
E alzando gli occhi il Corno Piccolo mi sfila di fronte agli occhi: la parete nord, la comba ghiaiosa, le due spalle.
Troviamo tanti ternani e ci fermiamo a scambiare due parole, prendere un caffè, sfruttare il bagno del bar per "un'evacuazione necessaria" prima di dare il via alla giornata.
Questo mi fa respirare un'aria quasi familiare, mi sento accolto, abbracciato da un luogo che in qualche modo mi rapisce ogni volta.
Infine biglietto e via che si parte.
Arrivati alla Madonnina, con passo svelto prendiamo il Ventricini e dopo poco cominciamo a risalire faticosamente i prati sotto la parete Nord.
Davanti a noi, accanto e dietro, altre cordate, chi prosegue, chi si ferma prima, chi cerca di capire dov'è l'attacco della via prescelta.
La via è talmente evidente, il suo sviluppo talmente logico, che, quando gli sono sotto, non vedo l'ora di partire.


Il mio compagno Matteo che sarà un secondo preciso e accorto mi cede la testa della cordata e così, senza farmelo ripetere, parto. Il primo tiro è abbordabile. Prendo una paretina ben appigliata sulla destra del diedro appena accennato che più in alto si trasformerà in camino-fessura, trovo un chiodo e continuo cercando qualche integrazione qui e là, fino ad una bella sosta con vecchi cordoni.
Mi alloggio e recupero Matteo.



Matteo e la relazione (in fondo inutile)
Il secondo tiro prosegue evidente per la fessura che incide la paretina sotto la quale ci troviamo. In effetti si può salire abbastanza tranquillamente un po' dove si vuole e rispetto a quel poco scritto nelle relazioni mi viene da dire che il primo tiro è stato un po' corto.
In realtà la via è talmente attrezzata (è anche un itinerario di misto in invernale) che è difficile sbagliarsi o andare in difficoltà.
Parto, affronto la prima fessura e continuo, per poi infognarmi nel camino-fessura. E' un'arrampicata che non mi piace, ma che mi viene bene. Come un ippopotamo asmatico sbuffo, arranco, mi incastro, proteggo e salgo, salgo.
Sono talmente preso della roccia, dall'impulso di arrampicare, di mettere protezioni, di continuare, che credo di aver cannato una sosta sulla sinistra. Infatti in un momento di pausa in cui tiro il fiato, comincio a cercare la sosta su spuntoni che dovrebbe essere la mia meta (come da relazione). Vedo una grande nicchia sulla destra e sperando che vi sia segno della mia sosta mi ci dirigo, ma, ahimè, è liscia come il culetto di un neonato e così traverso (che odio!) a sinistra e proseguo fino ad incontrare qualche spuntone e un chiodo.
Senza farmelo ripetere attrezzo una sosta che rinforzo con un dado e mi alloggio.

La "mia S2"

Credo di aver percorso una cinquantina di metri, siamo all'attacco del secondo camino, quello in cui dovrebbe esserci il tratto di V. A me pare più facile di quello appena percorso e anche se le soste non mi tornano poi tanto poco male. Sbagliare la via è impossibile.
Riparto e anche questa volta mi incastro.
Mentre arrampico mi viene in mente Pamela Pack, una climber americana fortissima nelle fessure off-width. E mi viene in mente anche Freud: ogni volta che vedo una fessura, pur dicendomi di provare a starne fuori il più possibile va a finire che mi ci incastro. Che sia tutta una questione di psiche?
Dopo poco esco su un tratto più facile, supero un leggero strapiombetto con un masso incastrato e poco dopo mi si parano di fronte, splendidi e lucenti due bellissimi spit (entrambi con anello).
Faccio sosta e recupero Matteo.

S3

Matteo in uscita dal tratto chiave della via
I pensieri mi vengono solo dopo essermi messo comodo. Certo due spit a guardarli sono proprio eccezionali. Voglio dire, non sono mica due chiodi arruginiti vecchi di trent'anni, non sono certo una clessidra, ma mi dico che, messi lì, su una via che festeggia 65 anni stonano e non poco.
Capisco pure, però che in inverno è tutta un'altra storia e che quando la colatina si forma e magari è tutto intasato di neve e ghiaccio avere uno spit da cui potersi pure calare in caso di necessità è roba fotonica.
Da lì in poi le difficoltà calano. 
Continuo a salire finchè la corda non finisce: farò così per due tiri, fino ad incontrare un paio di chiodi e una fettuccia con maglia rapida proprio sulla cresta.

La mia S4
La mia S5
Giungo infatti ad una specie di biforcazione di due diedri. Sulla sinistra, però, si vedono anche delle paretine che caratterizzano la parte alta di questo settore e che permettono di uscire leggermente prima in cresta.
Scopro solo a casa che in effetti l'uscita originale è sulla destra e quella percorsa usualmente invece devia a sinistra. Senza saperlo me ne vado a sinistra.
Ovviamente non trovo assolutamente nulla. Dopo aver oltrepassato una sosta di calata che mi ha indotto sulla sinistra (direzione che però avevo già deciso di prendere), mi tengo vicino al diedro che offre tante occasioni di proteggere per due tiri di corda.
Solo alla quinta sosta vedo ciò che c'era e così capisco che bisognava tenere le paretine un poco più al centro.

L'ultimo breve tiretto che conduce ad S6
Siamo in cresta. Una cordata di tre persone che la sta percorrendo (v. relazione della cresta) si dirige verso di noi. Noi ci caliamo e, dopo esserci sistemati, messi le scarpe, mangiucchiato qualcosa ci dirigiamo dalla parte opposta la loro.



Si alza qualche nebbia, tipica dell'orario in cui usciamo dalla via. Scendiamo, traversiamo, disarrampichiamo, fino a giungere alla prima calata.
Andiamo a prendere anche la seconda, scendiamo sul terrazzo erboso che è la partenza della via di cresta e, dopo aver rifatto le corde, alla massima velocità che le nostre gambe permettono andiamo a prenderci la funivia.
Massima gratitudine al tipo dell'impianto che ha aspettato oltre le 17.30 e ci ha fatto salire: ci hai risparmiato una fatica!
In conclusione la via è bella, offre un'arrampicata varia, è protetta in maniera esagerata e sinceramente ho trovato più ostico il primo caminetto (dato di IV) che il secondo di V.
Un grazie anche a Matteo senza il quale non mi sarei potuto divertire in compagnia.

Accesso

Giunti ai Prati di Tivo si prende la funivia che sale alla Madonnina. Da lì si percorre il sentiero Ventricini sotto la parete nord fin sotto la verticale dell'attacco (che è bene memorizzare dal piazzale). Da là si risalgono i ripidi prati e le facili roccette fin sotto la parete stessa (30min dalla stazione a monte)

Materiale

nda, friend medi e un set di nut (particolarmente utili), diverse fettucce e cordini per allungare le protezioni e attrezzare le soste, qualche rinvio, due mezze corde.

Relazione

L1 - IV - 30m
Si attacca la parete di destra del grande diedro che poi si stringe e va a formare i camini fessura. Si sale (1 ch.) e tenendo la verticale si supera a sinistra una clessidra con cordone e poco più in alto si incontra la sosta  (1 ch.,sosta su 2ch e cl.)

L2 - IV+ - 50m
Si prosegue lungo una fessura, poi si punta all'evidente camino-fessura che incide la parete. Lo si percorre con diverse opportunità di protezione. Si lascia sulla destra una grande nicchia liscia e si prosegue fino ad un chiodo sul bordo destro del camino. Si fa sosta su spuntoni (1 ch., 1 cl., sosta su ch. e spuntone)

L3 - V - 30m
Si percorre senza dubbi il camino fessura molto protetto (2 ch. e 2 spit). Una volta usciti si supera uno strapiombetto costituito da un masso incastrato facendo attenzione alle rocce instabili che si possono incontrare. Poco oltre, sulla sinistra si trova la sosta (sosta su 2 spit con anello)

L4 - III - 55m
Si prosegue tenendo la sinistra e lasciando a destra un evidente diedro che delimita il pilastro soprastante. Si cerca la via intuitivamente sfruttando i punti deboli. Si sale fino a dove si arriva e si attrezza la sosta (sosta da attrezzare)
L5 - II/III - 55m 
Si continua per via intuitiva cercando di tenersi a sinistra nei pressi di una costola che incide a destra le ultimi, facili, placchette (sosta da attrezzare)

L6 - II - 15m
Si punta a sinistra verso il filo di cresta dove si trova un cordone e fettuccia con maglia rapida (sosta su cl.)

Discesa 

Dalla S6 ci si cala verso sinistra con una breve calata. Da lì si segue la cresta, aggirando il filo sulla sinistra (dal lato Prati di Tivo), poi si prosegue su terreno facile, si riprende il filo o si percorrono le facili cenge fino ad incontrare un grosso gendarme che si aggira più facilmente sulla destra. Si scende ancora su terreno facile e dopo aver aggirato uno sperone arrotondato si incontra la sosta di calata.
La seconda si trova dopo essere scesi dal terrazzino dietro un altro sperone arrotondato.

In linea continua la via seguita nella presente relazione, tratteggiata l'uscita originale su difficoltà analoghe

Nessun commento:

Posta un commento