Pensare di aver fatto seicentocinquanta chilometri e aver rinunciato dopo circa 150m dovrebbe farmi rabbia, come un boccone dall'acre sapore di occasione persa. Invece me la sono goduta proprio perchè non l'abbiamo finita.
Me la sono goduta, in ogni istante, anche nella decisione di ritirarsi, anche nel vedere che alla fine avremmo potuto concludere la via, anche al pensiero che Francesco ci tornerà senza di me, anche nella quasi certezza che non potrò tornare tanto presto per tentarla nuovamente.
Si, me la sono proprio goduta.
Erano già un paio d'anni che mi saltava il battesimo in Dolomiti. Quando la domenica precedente avevo imboccato la Val di Fassa e rischiato di andare a sbattere per ammirare il Catinaccio, la Marmolada e scorci del Sella mi ero detto che nulla mi avrebbe impedito di scalare su quelle fantastiche montagne.
Il tempo ci ha messo, ovviamente del suo, e tutti i santi giorni è piovuto. Le previsioni non sembravano voler essere clementi, finchè uno spiraglio di speranza ci si è aperto, a me e a Francesco, per il sabato mattina.
Naturalmente il venerdì sera è diluviato come se avessero aperto le dighe del cielo, così, di comune accordo e un po' scoraggiati, decidiamo di partire con calma.
Francesco arriva ad un'orario da giornale al bar più che da scalata in montagna, ma da Canazei al passo Sella sono circa venti minuti di tornanti e noi ci fermiamo prima di scavallare.
Quando arriviamo al parcheggio e osserviamo la parete ci accorgiamo che è abbastanza bagnata, ma optiamo per provarci, poi si vedrà.
Sono carico, voglioso, felice di poter scalare di nuovo con Francesco dopo un anno. In un quarto d'ora scarso siamo all'attacco della via. Risaliamo sciolti le facili roccette compreso un più impegnativo saltino, in corrispondenza di un grande masso incastrato che alcune relazioni danno come primo tiro di III/III+ fino ad un chiodo di sosta con anello cementato.
Il fondo del canale assomiglia più ad una forra un po' asciutta che ad un intaglio su una montagna: ce ne freghiamo. Francesco ha vinto il primo tiro e così parte bardato di tutto punto.
La via è bagnata, ma il ragazzo sale, sale, sale fino ad arrivare alla sosta, un'altro bel chiodo cementato con anello (direi molto robusto, poco caiano). Mi metto lo zaino in spalla e mi avventuro pure io. Prima una facile fessura, poi una leggermente più difficile, anche perchè fradicia, fino ad un'ultima facile rampa che porta ad un comodo punto di sosta.
Velocemente mi prendo il materiale e con grande motivazione attacco con foga le prime facili roccette che conducono verso un caminetto. Lo risalgo tenendomi fuori, sulla sinistra per rocce un po' rotte e mobili. Faccio un paio di bei runout, poi sfrutto un paio di spuntoni, trovo un chiodo e piazzo anche un friend.
Il facile attacco del 2° tiro |
Faccio gli ultimi metri arrivando ad un punto di sosta con due chiodi. Da lì traverso nettamente a sinistra, verso il fondo della gola.
Odio i traversi.
Questo è facile, ma li odio lo stesso. Inoltre non posso proteggere, la corda tira, devo anche aggirare uno spigoletto. Insomma è proprio una di quelle situazioni del cazzo che mi fanno odiare i traversi.
Con un paio di passi scendo su un bel terrazzino dove si trova la sosta (solito chiodo con anello cementato). Tiro come un bue in salita le corde che fanno un attrito micidiale.
Dopo un po' arriva pure Francesco, che spunta da dietro lo spigolo dopo avermi supplicato di non tirare le corde: anche a lui i traversi piacciono poco.
Riflettiamo un po' sul da fare. Passo tutta la ferraglia al mio compagno e lui riparte per il terzo tiro: deve arrivare fin sotto il grande tetto da cui si dipana poi il tiro chiave della via.
In alto le placche sono ancora bagnate e anche il tiro è umido d'acqua. Francesco arrampica sicuro, sale, protegge. Arriva su un tratto leggermente più fisico. Tituba un attimo ma poi prosegue.
"Non trovo la sosta!" mi urla dall'alto "c'è un chiodo e sopra vado verso il tetto!".
"Come è il chiodo?" gli chiedo urlando a mia volta.
"Pare buono!"
"Fai sosta lì!"
Le nuvole cominciano a farsi incombenti. Temiamo che la pioggia, che dovrebbe arrivare nel pomeriggio, anticipi l'orario e non abbiamo nessuna intenzione di beccare un temporale parete.
Salgo il più velocemente possibile. La roccia è buona, anche se umida e a tratti bagnata, e si fa scalare. Arrivo a vista di Francesco che mi chiede se vedo il chiodo di sosta. Rimugino che forse non c'è un chiodo con anello e che la sosta è quella. Poi un tre-quattro metri sotto il mio geniale compagno di cordata mi appare davanti, leggermente bollato di rosso, il chiodo cementato con anello.
Evito di riportare tutte le (male)parole che ho tirato all'indirizzo del mio ciecato amico.
Mentre siamo in sosta (quella vera!) comincia a piovigginare, poi il cielo si fa plumbeo e, in men che non si dica, la giornata da incerta si fa brutta.
Il tiro che abbiamo sopra la testa mi attira. Tocca a me, ci sono belle fessure, tanti appigli, una linea logica. Questo tiro lo potrei fare velocemente, poi ci mancherebbe il traverso e l'uscita sulla cengia dei camosci.
Parlottiamo, cerchiamo di valutare, ragioniamo mentre sistemiamo il materiale. Poi il cielo ci da una chiara indicazione sotto forma di tuoni.
La pioggia comincia a cadere più insistente.
Si torna giù.
Così comincia la trafila delle doppie. Ne facciamo tre, una da dove ci troviamo a S3 poi, evitando S2 che sta sulla verticale prima del traverso, direttamente a S1 e poi alla fine della gola.
Arriviamo alla macchina un po' umidicci.
Sono contento. Mi rendo conto di essermi veramente divertito. Aldilà della performance, dei tiri, dei gradi, del successo. Mi sono divertito a scalare, a stare legato in cordata ad un amico, a scegliere cosa fare, ad assumermi la responsabilità delle scelte senza recriminazioni.
Questa è stata una delle poche volte in cui ho goduto del qui ed ora, del momento presente, senza pensare al dopo o all'avrei potuto/dovuto.
Mi sono immerso nella montagna, facile, per carità, intuitiva, comoda, ma non per questo meno aliena, meno distante.
Dal paese, dalla macchina, la parete era stata una visione generale ed indistinta. Appeso in sosta quel mondo lontano era divenuto vicino e la visione si era fatta particolare e determinata. Lì non ho mai avuto la sensazione di essere fuori contesto. Mi sono sentito parte della roccia. Forse un po' a casa.
Si superano le facilli roccette tenendosi sulla placchetta a destra, poi si traversa su erba e sassi verso sinistra puntando ad un grosso masso incastrato che si supera con passo lievemente più difficile (sosta 1 ch. con anello)
L2 - IV - 35m
Dalla sosta si traversa prima a destra fino a guadagnare una lama (1 ch.) che diviene quasi un camino. La si risale fino ad una comoda sosta (sosta 1 ch. con anello)
L3 - III+/IV - 30m
Riflettiamo un po' sul da fare. Passo tutta la ferraglia al mio compagno e lui riparte per il terzo tiro: deve arrivare fin sotto il grande tetto da cui si dipana poi il tiro chiave della via.
In alto le placche sono ancora bagnate e anche il tiro è umido d'acqua. Francesco arrampica sicuro, sale, protegge. Arriva su un tratto leggermente più fisico. Tituba un attimo ma poi prosegue.
"Non trovo la sosta!" mi urla dall'alto "c'è un chiodo e sopra vado verso il tetto!".
"Come è il chiodo?" gli chiedo urlando a mia volta.
"Pare buono!"
"Fai sosta lì!"
Le nuvole cominciano a farsi incombenti. Temiamo che la pioggia, che dovrebbe arrivare nel pomeriggio, anticipi l'orario e non abbiamo nessuna intenzione di beccare un temporale parete.
Salgo il più velocemente possibile. La roccia è buona, anche se umida e a tratti bagnata, e si fa scalare. Arrivo a vista di Francesco che mi chiede se vedo il chiodo di sosta. Rimugino che forse non c'è un chiodo con anello e che la sosta è quella. Poi un tre-quattro metri sotto il mio geniale compagno di cordata mi appare davanti, leggermente bollato di rosso, il chiodo cementato con anello.
Evito di riportare tutte le (male)parole che ho tirato all'indirizzo del mio ciecato amico.
Francesco alla quarta "sosta" |
Mentre siamo in sosta (quella vera!) comincia a piovigginare, poi il cielo si fa plumbeo e, in men che non si dica, la giornata da incerta si fa brutta.
Il tiro che abbiamo sopra la testa mi attira. Tocca a me, ci sono belle fessure, tanti appigli, una linea logica. Questo tiro lo potrei fare velocemente, poi ci mancherebbe il traverso e l'uscita sulla cengia dei camosci.
Parlottiamo, cerchiamo di valutare, ragioniamo mentre sistemiamo il materiale. Poi il cielo ci da una chiara indicazione sotto forma di tuoni.
La pioggia comincia a cadere più insistente.
Si torna giù.
Così comincia la trafila delle doppie. Ne facciamo tre, una da dove ci troviamo a S3 poi, evitando S2 che sta sulla verticale prima del traverso, direttamente a S1 e poi alla fine della gola.
Arriviamo alla macchina un po' umidicci.
Sono contento. Mi rendo conto di essermi veramente divertito. Aldilà della performance, dei tiri, dei gradi, del successo. Mi sono divertito a scalare, a stare legato in cordata ad un amico, a scegliere cosa fare, ad assumermi la responsabilità delle scelte senza recriminazioni.
Questa è stata una delle poche volte in cui ho goduto del qui ed ora, del momento presente, senza pensare al dopo o all'avrei potuto/dovuto.
Mi sono immerso nella montagna, facile, per carità, intuitiva, comoda, ma non per questo meno aliena, meno distante.
Dal paese, dalla macchina, la parete era stata una visione generale ed indistinta. Appeso in sosta quel mondo lontano era divenuto vicino e la visione si era fatta particolare e determinata. Lì non ho mai avuto la sensazione di essere fuori contesto. Mi sono sentito parte della roccia. Forse un po' a casa.
Accesso
Giunti a Canazei si prende in direzione del passo Pordoi, passo Sella. Dopo alcuni tornanti, ad un evidentissimo bivio si svolta a sinistra seguendo le indicazioni per il passo Sella. Dopo pochi minuti di salita si giunge sotto la parete. Si parcheggia su una delle diverse piazzole sulla sinistra e si prende uno dei sentieri che si inoltra nel bosco sottostante che per via anche intuitiva conducono alla grande gola dove si trova l'attacco della via (attenzione a non sbagliarsi, la gola incide la zona sinistra della parete faccia a monte) (15 min circa fino all'attacco)Materiale
nda, utili friend medio/grandi (anche camalot n.3) diverse fettucce e cordini per allungare le protezioni, qualche rinvio, due mezze corde.Relazione
L1 - III/III+ - 45mSi superano le facilli roccette tenendosi sulla placchetta a destra, poi si traversa su erba e sassi verso sinistra puntando ad un grosso masso incastrato che si supera con passo lievemente più difficile (sosta 1 ch. con anello)
L2 - IV - 35m
Dalla sosta si traversa prima a destra fino a guadagnare una lama (1 ch.) che diviene quasi un camino. La si risale fino ad una comoda sosta (sosta 1 ch. con anello)
L3 - III+/IV - 30m
Dalla sosta si prosegue nel caminetto o sulla sinistra (attenzione alcune rocce instabili). Giunti, dopo un passo più duro, a due chiodi si traversa deciasamente a sinistra. Senza alzarsi troppo si aggira uno spigoletto e si guadagna un terrazzino sul fondo della gola dove si trova la sosta (sosta 1 ch. con anello)
L4 - IV- - 40m
L4 - IV- - 40m
Tenendo la sinistra su delle rocce ben appigliate si sale una placca (1 ch.). Appena dopo un caminetto più delicato (cl. alla base) si trova la sosta (sosta 1 ch. con anello).
Da qui ci siamo calati. Il resto della relazione è come descritto nel sito: Sassbaloss
L5 - IV/IV+ - 40m
Il tiro chiave della via. Un bel diedro di 40 Mt. con difficoltà
continua di IV°+. Dalla sosta si sale obliquando a destra portandosi
alla base del diedro (chiodo). Risalire il diedro, esposto ma ben
appigliato, fino al suo termine sotto ad uno strapiombo. La sosta è
sul terrazzino a sinistra. (4 ch.)
L6 - IV- - 20m
Salire fin sotto lo strapiombo seguendo la fessura o scalando la
parete a sinistra. Traversare verso sinistra sotto lo strapiombo
fino a raggiungere una larga terrazza dove, all'estremità sinistra,
è posta la sosta. (1 ch.)
L7 - IV - 35m
Il tiro è molto esposto ma non difficile. Inoltre è ben protetto.
Spostarsi a metà terrazza e salire sfruttando la fessura (chiodo).
Traversare un poco a destra e salire nuovamente per fessura (1
cordone e 2 chiodi). Attenzione a non alzarsi troppo. Iniziare una
lunga traversata verso destra di circa 15 metri fino alla sosta (2
clessidre con cordone e 1 chiodo) alla base di un camino. (4 ch. e alcune clessidre).
L8 - IV - 30m
Salire in spaccata nel camino. Eventualmente uscire sulla parete a
sinistra per poi rientrare nel camino. Giunti sulla Cengia dei
Camosci cercare il masso con l'ometto posto un poco a destra
rispetto all'uscita. Sul masso a sinistra dell'ometto cercare i due
chiodi di sosta (difficili da individuare). (1
ch.).
Discesa
Imboccare verso sinistra il sentiero che percorre la Cengia dei Camosci. Ad un certo punto si passa a carponi in un breve tunnel e poi si prosegue sulla cengia ancora molto esposta (cavi metallici di sicurezza). Ci sono due punti in cui è richiesta un'arrampicata in discesa (II°) oppure, in alternativa, la calata in doppia (cordini e anelli in loco). Tra questi due tratti il sentiero di discesa dal Piz Ciavazes si unisce con quello di discesa dalla Prima e Seconda Torre del Sella. Giunti alla base della parete si segue il sentiero verso sinistra (viso a valle) per tornare al parcheggio. Andando invece a destra si arriva al Passo Sella.Il punto rosso indica la sosta da cui ci siamo calati |
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