Questo è uno degli ultimi libri che ho letto. Non era tra quelli che volevo acquistare o leggere: non conoscevo Karl Unterkircher se non perchè sapevo che era deceduto sul Nanga Parbat, e l'idea di leggere il libro scritto dalla moglie mi sembrava un po' troppo lacrimosa.
Eppure l'ho letto.
Il racconto, la descrizione di questo fortissimo avventuriero, le vicende personali e alpinistiche sono rese con grande delicatezza, trasportate da una grande sofferenza, rese più mitiche, ma anche più dolorose, dalla presenza dei figli, dalla consapevolezza che questa famiglia ha perso qualcuno di insostituibile.
E' questa la forza narrativa che mi ha colpito.
Il fatto che i protagonisti siano un alpinista estremo, competente, atleticamente forte, le cui imprese risvegliano la voglia di sfidarsi e sfidare, e la moglie ed i figli, quelli che sono poco menzionati, poco raccontati, ma ancora più importanti perchè senza l'uomo sarebbe differente (non migliore o peggiore, solo differente), aggiungono una prospettiva nuova che non avevo ancora incontrato.
E mi sono commosso.
L'idea che i bambini, che attendono ansiosi e speranzosi il padre per andare con lui in falesia epassare del tempo insieme vedano trasformata questa attesa in un'eterna assenza, mi ha commosso.
L'idea che una donna che ha incoraggiato e spinto e permesso al proprio uomo di realizzarsi in ciò che più ama, pur conoscendone i rischi, e che adesso lo ha perso proprio contro quell'amore, più forte del suo, mi ha commosso.
L'idea che l'uomo sia pronto e determinato ad abbandonare casa, famiglia, se stesso in sostanza, per definirsi con e contro qualcosa di inumano come l'alta montagna, mi ha commosso.
Non è il miglior libro di montagna che ho letto, non il più avvincente, non quello scritto meglio. Sicuramente è un libro che mi ha fatto comprendere cosa significhi essere marito e padre e, per un libro, non mi sembra poco.
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