Hans Kammerlander non è certo un alpinista che abbia bisogno di presentazioni, sicuramente è necessario andare a cercare un elenco di tutte le sue conquiste, scalate, ascensioni vista la mole che ha collezionato nel corso della sua brillante carriera.
Appeso ad un filo di seta ripercorre molte di quelle imprese, tutte descritte per arrivare alla montagna che lo ha respinto troppe volte, rischiando quasi di divenire un'ossesione potenzialmente mortale: il K2
Il libro infatti scorre piacevolmente e, se all'inizio si può vivere una sensazione di parziale estraniamento (sembra di star leggendo le imprese di un alieno), si snoda attraverso una costruzione narrativa abbastanza buona, riuscendo a tessere una trama dove i singoli racconti sarebbero materia slegata l'uno dall'altro.
In diversi passaggi si nota una certa dose di sense of humor che condisce sapientemente un libro che rischia di essere sterile.
Ciò che non emerge prepotentemente, come in altri libri autobiografici di forti alpinisti, è la durezza del confronto con la natura, il freddo, la fatica, le sofferenze che ha dovuto affrontare per conquistare quel K2 che gli si era rifiutato tante volte.
Probabilmente è qualcosa scritto nel DNA di quest'uomo estremo. La capacità di sopportazione che gli rende possibile ciò che per altri è fuori portata modifica sicuramente la percezione del limite, forse a tal punto che non riesce, scrivendo, a trasmettere quelle sensazioni umane legate alla prova e al superamento di se stessi.
Nonostante questo è una bella lettura, da godersi pensando che quest'uomo è uno degli dei dell'olimpo (vasto ma non troppo) dell'alpinismo. Sicuramente un nome che ha fatto storia.
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