lunedì 24 settembre 2012

Reinhold Messner: turismo, alpinismo e molto altro

Ho ricevuto l'ultimo numero di Montagne 360°, la rivista del CAI, del mese di settembre. Mi incuriosisce subito uno dei titoli sulla copertina: "L'alpinismo inizia dove finisce il turismo". Sfogliando le sue pagine mi imbatto in una foto di Messner e nell'articolo che riporta l'intervista fatta.
Premettendo che è doveroso leggere tutto l'articolo per capire il contesto, beh, non è che sia andato tanto per il sottile con le sue risposte, ma d'altronde non ci si può aspettare nulla di meno da un personaggio come lui.
In particolare mi ha colpito una risposta. Alla domanda come si possa fare per impedire o arrestare la trasformazione delle Alpi in un parco giochi estremo, il buon vecchio Messner non usa mezzi termini:
Siamo a questo punto: per sciatori e snowboarders è importante che la neve ci sia, poi da qualche parte si scende senza preoccuparsi di valanghe o crepacci, mentre gli scalatori si fidano dei chiodi piantati da qualcun altro, gli alpinisti delle previsioni meteo, chi si arrampica su ghiaccio di quattro attrezzi, e tutti, nell’eventualità, fanno affidamento sul cellulare nello zaino, con il quale è possibile chiamare l’elicottero per farsi soccorrere.[...]
E continua poco dopo:
Ma la montagna è un'altra cosa: dobbiamo finalmente discutere di cosa è turismo e che cosa è alpinismo. La mia definizione è semplice: l'alpinismo comincia dove il turismo finisce. Abbiamo rock master, le gare di climbing, il CAI che gestisce i sentieri, ma tutto questo è turismo: i rifugi sono stati costruiti 100 - 130 anni fa per fare turismo. Un turista può camminare anche dieci ore, ma resta sempre un turista: diventa un alpinista solo quando esce dal sentiero e va nella wilderness, con tutti i suoi pericoli. Ora, io non ho niente in contrario al turismo, che è la base economica della sussistenza delle Alpi, ma bisogna fare chiarezza.
Questo mi ha punto. Non so se nel vivo o solo superficialmente, però mi ha costretto a riflettere.
Non sono tipo da wilderness, e questo lo sapevo già. Anche se scalo, faccio trekking ma non vado per rifugi, preferisco la montagna alla falesia, il friend allo spit (che se però c'è non è mica male), so perfettamente che mi piace star sicuro. Eppure mi comporto un po' da turista in vacanza.
Se arrivo in sosta, dove trovo due chiodi arrugginiti, ormai lì da anni, con un cordino scolorito trasformato in canapone, mi fido della loro tenuta e mi alloggio. Sbaglio? Forse si, ma sicuramente adotto una filosofia d'approccio prettamente turistica, almeno nell'ottica di Messner.
Sapevo anche che non sono un alpinista (lungi da me pensare di appellarmi con questo termine), ma non mi sento proprio un turista della montagna, almeno quando vado a scalare o in trekking.
Quindi?
Quindi Messner, chiaro e tondo, dice che anche se ci sono persone brave a fare l'XI grado (8c/9a ndr) non sta scritto da nessuna parte che si debbano spittare tutte le vie di montagna in nome della sicurezza.
Ovvero, penso io, come a dire: volete fare alpinismo? Assumetevi le vostre responsabilità e non chiamate la montagna assassina. Proprio perchè se azzeriamo il pericolo si riduce l'alpinismo ad uno sport, come l'arrampicata indoor.
L'alpinismo è un'esperienza, è un parlare con i propri limiti e provare a spostare la linea di confine un poco più in là.
Quindi dove mi metto?
Non lo so. Mentalmente non mi disturbala mancanza di una sicurezza totale: se non voglio assumermi il rischio non ci andrei. Cazzo, si può pure "cannare" la via, andare fuori itinerario e allora? Allora c'è il però.
Però non ci parto e non ci partirei per andare all'avventura, mi basta quella circoscritta, nel tempo, nello spazio, nella mente e nello spirito, che posso fare da turista, anche se non pretendo, non mi aspetto e neanche desidererei che ci fosse uno spit ogni due metri.
In ogni caso sono convinto di una cosa: che nella vita ci sono, tra il bianco e il nero, tante sfumature di grigio. 
 

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