giovedì 13 settembre 2012

Corno Piccolo - Via Bachetti-Fanesi - 180 m - V

Questa che posto è, ad oggi, la più bella uscita su roccia che ho fatto quest'anno. Sicuramente ne seguiranno altre, magari anche più belle, ma questa è stata la prima in assoluto su una parete vera (e infatti...). 
Dopo aver comprato la nuova guida del Gran Sasso l'occhio mi cade sulle prime vie della parete Nord: si raggiungono in fretta dalla Madonnina, si rientra per la cresta NE con una sola doppia quindi si fa presto (magari...). Arriviamo ai Prati di Tivo alle 8.30, ci prepariamo e andiamo a prendere la funivia con tanti altri scalatori. È bello essere in compagnia di altri, una cerchia di persone che, come te, condivide una passione non per tutti.



Eccitati all'idea di scalare su una roccia meravigliosa ci inerpichiamo all'azimut verso la base della cresta e poi traversiamo comodamente fino alla base della via che troviamo facilmente.
Il primo ed il secondo tiro, il più impegnativo tecnicamente, sono miei: i due compagni che sono con me, Simone e il fratello Luca, me li cedono e a me necessita un tiro di riscaldamento per sbloccare la testa.
Dalla sosta del 2° tiro

Dalla base comincia a scalare lungo una fessura verso la mia destra ma man mano che procedo si fa sempre più larga e sempre meno proteggibile con i friends che ho. Comunque non mi sembra un tiro banale ed opto per passare lungo la fessura che invece piegava a sinistra. Disarrampico, recupero il materiale e riparto. Questa volta trovo anche un chiodo e la difficoltà è decisamente più bassa. In poco tempo sono in sosta, l'attrezzo e recupero i miei compagni. Adesso la cosa si fa più seria. L'ambiente la solitudine che ci circonda, la roccia e l'imponenza di quanto ci rimane da scalare, tutto unito al fatto di dover affrontare un tratto di V, mi fanno fremere. Non provo ansia negativa ma solo quella positiva che mi fa da sprone in queste situazioni. Sono convinto, oltre che consapevole, che quel “5a” è nelle mie corde, quindi aggredisco il 2° tiro, mi butto letteralmente, con una brutta ed antiestetica progressione, nel camino-fessura che segue i primi metri dopo la sosta, fino ad arrivare al passaggio chiave: un'arrampicata su ottimi appigli da risolvere in spaccata evitando di tirare un masso (molto invitante per la verità) incastrato che non fa un bel suono.
I passaggi sono di movimento e di fatica: il V è tutto giustificato, oltre che usare bene i piedi bisogna “tirare” le prese, muoversi un poco più dinamici. Passo senza un problema od una esitazione, mi sento in gran forma ed arrivo in sosta oltre lo sperone che mi sovrastava alle 12,10. 
Alla grande! Da lì i tiri se li fa Simo. Sono difficoltà calanti dal IV al II.
E qui la montagna fa sentire tutta la differenza con la falesia. Trovare la via su una parete non è banale. Niente affatto banale. Simo esita, si guarda intorno, cerca. Non tanto per le protezioni quanto per non cannare la sosta successiva. Ne trova una su tre chiodi: questa avevamo deciso di saltarla per andare direttamente sotto un tetto strapiombante dritto a noi. Nell'incertezza, e ha fatto bene, ha preferito sostare e farci salire. Attacca sempre lui anche il 4° tiro dirigendosi però troppo a destra, arriva sotto un diedro che poi avremmo scalato per uscire sotto le placche finali, ma la sosta che trova è su clessidra e fix, segno che stiamo troppo a destra: quella nostra doveva essere su due chiodi alla sinistra in basso del diedro.
Dalla sosta del 3° tiro

Dalla sosta del 4° tiro sotto al tetto di destra

Poco male, l'unico inconveniente è che per fare i due tiri ci abbiamo impiegato una vita, sono le 14,30 e iniziamo a temere di non fare in tempo a scendere prima della chiusura della funivia.
Con Simo ci diamo il cambio e parto io per il tiro facile del diedro: adesso tocca a me cannare le soste. Arrivo infatti ad un terrazzo erboso su cui trovo un cordino su clessidra. “Ecco la sosta” mi dico, ma mi sbaglio alla grande. La sosta si trova ben più su, poco oltre un bel terrazzone erboso comodo. Quindi aggiungo un ulteriore tiro alla moltitudine fatta.
La sorpresa però arriva proprio sull'ultima placca prima della cresta. Tendo ad obliquare a sinistra, fin troppo, arrivando a scalare passaggi ben più difficoltosi del II/III promessi dalla guida: la placca è un bel IV-, poco proteggibile, piazzo infatti in 50 metri di tiro due cordini su clessidra ed un friend. Non mi pongo il problema, pensarci sarebbe stato solo un aggravio di tensione inutile, considerando anche che dovevo passare la placca per arrivare in cresta.
L'elettrizzante placca prima di uscire in cresta
Supero gli ultimi cinque metri prima di una specie di cengia orizzontale su cui vado a fare sosta (l'ennesima...) con un delicatissimo ed aereo passaggio in cui ho sulla mano destra un appiglio su bidito e una tacchetta scomoda per il piede sinistro. Carico il piede sinistro ben sapendo che scivolare significa volare e pendolare per 8-10 m. Con un allungo fuori posizione afferrò un bel buco su cui accoppio velocemente la mano destra e poi con passi di aderenza faccio un mano piede per uscire ad afferrare la lama che mi porta poi alla cengia. 
Con grande soddisfazione e sollievo (mooolto sollievo) sosto, recupero i compagni, scoprendo solo dopo che avrei potuto arrivare direttamente in cresta da lì. Poco male, sono le 18,00 quando finalmente ci sediamo e ci togliamo le scarpette, la funivia è persa e quindi ci aspetta il lungo rientro fino ai Prati di Tivo.

Perdiamo un po' di tempo a cercare la calata per la doppia e anche la discesa fino al sentiero ci pone qualche perplessità che risolviamo senza grossi affanni. Arriviamo stremati ai Prati di Tivo solo a notte inoltrata, alla luce di due torcette che sapientemente ci siamo portati. 
Siamo soddisfatti, stanchi ma soddisfatti. Mentre scrivo ripenso alla scalata e mi rendo conto quanto sia vera la frase di Detassis “Ricordetelo ben, se rampega prima cola testa, po' coi pei, e sol ala fin cole man”. 
I passaggi fatti in falesia sarebbero ordinaria amministrazione, forse vie di riscaldamento, forse neppure quello, ma lassù, nella luce del sole che cominciava a tramontare, con la stanchezza di 170 metri di scalata, la distanza delle protezioni, la necessità di passare e basta, il rientro che ci attendeva, lassù è tutta un'altra storia. Lassù si scala per davvero.

Relazione


Salita su difficoltà non eccessive, su roccia eccezionale, sempre ben protetta dove serve e sufficientemente proteggibile, nonostante l'ultima placca sia delicata anche in termini di sicurezza. Particolare attenzione deve essere posta sul passaggio chiave del 2° tiro per non tirare troppo il masso incastrato.
L1 III+
Si attacca andando a sinistra prima in fessura (1 ch.) e poi in placca fino alla sosta. Sosta scomoda per tre persone.
L2 V
Si segue la fessura, all'inizio un po' scomoda, poi per lame e belle prese fino al masso incastrato (attenzione a tirare) (2 ch.). Molto proteggibile con cordini. Sosta su tre chiodi.
L3 IV
Per placca fino ad una prima sosta su tre chiodi.
L4 IV
Si continua lungo la placca piegando a destra verso un tetto evidente sopra ad una specie di terrazzino. Poco oltre il diedro, da prendere al tiro successivo, sosta su chiodo e clessidra.
L5 III
Si ritorna a sinistra e si percorre il facile diedro fessura fino ad una prima sosta su clessidra in corrispondenza di un terrazzino erboso conviene proseguire fino al successivo terrazzo).
L6 III
Per placca fino ad un terrazzone erboso sopra al quale è ben visibile il cordino della sosta su clessidra.
L7 IV-
Tenendo la sinistra si procede per placca, poco proteggibile, fino ad una lama-cengia su cui si può fare sosta (con corde da 60m si può arrivare fino in cresta).
L8 II
Si esce molto facilmente in cresta senza problemi

foto di base presa dal sito www.auaa.it

Uscita

Dalla cresta si procede verso la sinistra di salita in leggera discesa verso il secondo salto della cresta NE. Arrivati in corrispondenza di uno spallone lo si aggira a sinistra sul filo di una cengia che taglia circolarmente la spalla fino a trovare la catena su fix con l'anello di calata.
Ci si cala in doppia fino ad un terrazzo erboso. Da lì guardando sulla sinistra (con alle spalle la cresta) ci si dirige verso un canale erboso incassato in una spaccatura. Lo si guadagna scendendo dentro con un passaggio di II. Lo si percorre tutto seguendo la curva che piega verso destra fino ad arrivare in corrispondenza di un forcellino sulla destra che si arrampica facilmente. Lo si scavalca e si continua a scendere per via intuitiva sul lato opposto. Dopo poco si incrociano tracce di sentiero che portano poi a quello che conduce al Franchetti. Si prosegue fino alla Madonnina.

 

 

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