giovedì 23 luglio 2015

Corno Piccolo - Via delle due Generazioni - 225m - VI-

Andare a scalare alla seconda spalla al Corno Piccolo, di un disumano sabato di luglio, in cui la temepratura in città raggiungerà i quaranta gradi, equivale un po' ad andare al centro commerciale e sperare di non trovare ressa alle casse.
Cordate a destra, a sinistra, sopra, sotto. Gente che arriva trafelata e prenota la via con i compagni che ancora devono arrivare, altri che strillano neanche al mercato, rocciatori bardati come alberi di natale e altri che salgono su vie sportivi in pantaloncini, quattro rinvii e poco più.
Evviva la montagna!




Andando a spulciare le guide potrebbe cadere l'occhio su alcuni particolari riguardanti questa via. Che è stata aperta da una cordata padre-figlio. Che i due sono Enrico e Roberto Ciato. Che è stata aperta nel 1981. Che il tiro chiave di VI- (e alla faccia del VI-) è stato protetto con un chiodo solo, mentre oggi se ne trovano tre.
Ora, per la cronaca, Roberto Ciato è un tipo che, trentaquattro anni dopo, va a scalare col Di Bari sul 7c+/8a assicurando col mezzo barcaiolo e che, mentre Andrea (Di Bari) chiodava a Gabbio il Morbo di Ciato, se ne andava al Balcone a chiodare Aquila della Notte (che, sempre per la cronaca, sono due settebbippiù...).
La via è rinomata, ripetuta, riportata, riconoscibilissima.
Caratteristica la fessurona obliqua del secondo tiro e temibile la placchetta del penultimo.
Con Simone si voleva arrampicare e così gli propongo l'idea che accoglie con grande entusiasmo. Si aggiungeranno nei giorni successivi anche Matteo e Marco e così partiamo da Terni che è già caldo.
Si arriva ai Prati e respiro subito un'aria di montana familiarità, quasi un arrivare ad una seconda "casa".
Di corsa si fanno gli zaini, biglietto, Madonnina, Ventricini e in una mezz'ora scarsa siamo all'attacco. 


L'attacco del primo tiro
C'è gran ressa. Almeno una decina di persone sulla Morandi-Consiglio, una cordata sopra di noi, altri che stanno su Sua Mollosa. Ci mettiamo in coda e finalmente parto.
Placchetta simpatica, poi facile fessura che porta in sosta.



Da lì recupero Matteo. Marco scalerà il primo tiro da primo, ma nel frattempo io osservo l'enorme fessurone che mi attende. Come al solito la giostra dei gradi si sbizzarrisce, chi lo dà V, chi V-, chi V+, fatto sta che parto e godendo, ancora una volta della commovente compattenza e qualità della roccia, intuisco che il segreto è capire quando entrare dentro e quando uscire fuori dalla fessura (un problema che devono risolvere in parecchi, d'altronde).
Il punto è che entrando dentro si sta (s)comodi, protetti, anche se si rischia di far cadere una pioggia di sassi. Stando fuori si arrampica sul bordo a volte liscio e avaro d'appigli e appoggi.



Un paio di passaggi sono più ostici, soprattutto quando per uscire bisogna fidarsi bene dei piedi, ma niente di particolarmente difficile. Proteggere è un altro discorso. A parte qualche scaglia la fessura è troppo grande e si fatica a trovare qualcosa di decente per mettere friends o altro. Tre provvidenziali chiodi assolvono bene al loro compito.
Arrivo in sosta, dopo un non banale traverso a destra a fine fessura e mi accomodo.
Siamo al punto di giunzione con l'Aquilotti 74, a pochi metri da me c'è la sosta di Sua Mollosa Grossezza e rientriamo nel pieno del traffico della spalla!
I miei compagni se ne vengono su in tandem: io recupero Matteo, che recupera Simone, che recupera Marco. Bella faccenda, io fatico e loro godono.
A causa dell'intreccio di corde decido di tirare dritto e di uscire per il terzo tiro dell'Aquilotti. La via traverserebbe a destra e poi salirebbe nello stesso punto per un diedrino poco lontano e di analoga difficoltà.


Placchetta, strapiombetto ben ammanigliato e via sul facile fino alla base del tiro prima del forcellino tra l'avancorpo e la spalla. Esco al sole. Piacevolissimo, soprattutto considerando che stare al sole non comporta il surriscaldamento automatico di tutto il corpo, come invece succede in città.

Mentre c'è chi scala qualcuno prende il sole
Tipico saluto alpinistico
Vedo un chiodo in mezzo alla sovrastante placca. Il tiro passa di lì e non è proprio banale. La placchetta è abbastanza liscia, ma si lascia domare passando, dopo aver guadagnato il chiodo, sulla sinistra. Devo dire che ho avuto il mio bel da fare per capire come uscire, speravo di poterla addrizzare, ma l'impossibilità di proteggere mi ha fatto desistere.
Poi arrivato al forcellino, gravido di impavidi alpinisti che si accalcano sulle numerose vie presenti, compio la mia solita svegliata: passo una protezione senza allungarla abbastanza, mi porto sulla sinistra del forcellino e risalgo una fessura che porta in alla sosta del penultimo tiro.


Non posso dire di non essermi sudato il tiro in questo caso. Anzi, provoco anche la pietà di una cordata intera che mi vede arrancare cercando di alloggiarmi alla sosta.
Comincio a recuperare con grande fatica Matteo. Poi mi metto ad osservare la placca di VI- che mi attende. Devo dire che sembra abbastanza repulsiva. Inoltre l'affollamento della sosta e la fastidiosa maleducazione di un gruppo di "rocciatori" non aiutano proprio.
Anzi, mio malgrado, ci accorgiamo che il tipo che arriva non sa neanche montare il reverso per il recupero dei secondi! La situazione sembra una barzelletta se non fosse che appeso all'inconsapevole ed improvvido tipo c'è un altro improvvido e inconsapevole tipo che rischia la pellaccia.
Quando arriva Marco, mi preparo e scalando corpi e roccia mi avventuro in pieno placchismo.

Calcare compattissimo: puro godimento




Marco mi fa un servizio fotografico e Matteo mi assicura. Gli appigli sono buoni, anche se arrivare al primo chiodo è un po' delicato. Da lì due buone prese e qualche mano piede permette di innalzarsi con tranquillità e sicurezza.
Arrivo al secondo chiodo e poi al terzo molto vicino (non che ispirino voglia di volarci sopra però!)
Da lì si intuisce molto facilmente la via d'uscita dalla placca. Un traverso ascendente verso sinistra. Spacco su un bell'appoggio per il piede sinistro e usando piccoli, molto piccoli, appigli per le mani, carico ed esco, o almeno ci provo. Il piede destro mi si è incastrato nel bel buco in cui lo avevo messo.
Cerco di tornare indietro ma non mi viene bene, così con un po' di pelo e sana violenza lo sfilo e continuo.
Due passi su una scaglietta, uno in aderenza e si arriva a prendere un bel presone. Da lì si esce dalle difficoltà e si arriva presto in sosta su clessidrone.




Matteo scala con le scarpe d'avvicinamento...la prossima volta la tira lui la via
Da lì in poi non c'è più storia, si prosegue su facili placche anche se in qualche punto non proprio facili facili, ma bellissime. Siccome però robe troppo facili non ci piacciono tantissimo, la storia si pepa il giusto. Così, mentre scalo la placca sento: "Sasso!" e d'istinto mi appoggio alla parete cercando di spalmarmi il più possibile.
Ora, non posso certo dire che l'ho fatto per paura che mi cadesse addosso. No, è stato un gesto automatico, senza la convinzione che servisse davvero. Anzi il pensiero è stato chissà chi prenderà?
Poi sento una gran botta sul casco, esattamente in mezzo.
Senza aggiungere tanta fuffa alla faccenda è andata bene. Benissimo. Il sasso, mi si racconta, era grande come una pesca ma è partito una decina di metri sopra di me e forse non aveva preso velocità sufficiente per spaccarmi a metà casco e testa.
Comunque giunto in sosta, dopo aver rassicurato tutti (un sacco di gente che mi stava attorno, sotto e sopra), arrivo in sosta e ringrazio il fenomenale tipo che riesce a dirmi: "Non l'ho fatto apposta".
Meno male, ci mancava pure.


La placca finale
In cima c'è una ressa micidiale. Dobbiamo metterci in coda per fare le doppie e dopo qualche peripezia ci ritroviamo ai piedi della spalla con le corde rifatte e gli zaini pronti che sono le 17.11.
Arriviamo alla Madonnina alle 17.29.
Birra, panino con salsiccia, scamorza e verdure.


Via molto bella, neanche troppo discontinua nelle difficoltà, con il tiro duro in placca molto soddisfacente anche se corto. Stupendo sia per estetica che per arrampicata (se non ci si incastra troppo) anche il fessurone del secondo tiro.
Via che non va assolutamente persa.

Accesso

Giunti ai Prati di Tivo si prende la funivia che sale alla Madonnina. Da lì si percorre il sentiero Ventricini sotto tutta la parete Nord, si supera la prima spalla e si giunge ad una forcella da cui si scende puntando al caratteristico masso staccato (45 min circa)
Alternativamente si può salire con l'auto fino alla piana del laghetto prendendo la strada che dai Prati prosegue a sinistra. Lasciata l'auto si sale l'Arapietra in direzione dell'albergo diruto e poi verso la stazione di monte. Si prosegue come sopra (45 min circa fino alla Madonnina)

Materiale

nda, utili friend medi e grandi, anche i tri-cam tornano molto utili, diverse fettucce e cordini per allungare le protezioni, qualche rinvio, due mezze corde.

Relazione

L1 - IV- - 40m
Si attacca la placca si aggira uno strapiombo e si entra lungo una fessura verso sinistra fino alla base del caratteristico fessurone (1 ch., sosta su 2 ch.)

L2 - V - 40m
Lungo il fessurone. Quando diventa verticale e più stretta si traversa a destra in placca fino ad una seconda fessura, si sale dritti fino alla sosta (3 ch., sosta su 1ch. 1 spit e clessidra)

L3 - IV- - 35m
Dalla sosta si traversa a destra su facile placca e si risale un diedro-fessura sino a prendere una comoda sosta nei pressi di un bel terrazzino (sosta su 2 ch. e clessidra) Noi siamo passati per il terzo tiro dell'Aquilotti 74 che termina sostanzialmente nello stesso punto

L4 - V- - 50m
Si sale la placca puntando ad un chiodo poi ci si tiene a sinistra per arrivare per facili placche nei pressi del forcellino dove si può sostare. Alternativamente, ma facendo attenzione all'attrito delle corde si scende un metro a sinistra e si prende una fessura un po' nascosta che sale alla rampa della Morandi-Consiglio (1ch., sosta su 2ch. e cless.)

L5 - VI- - 15m
Il tiro chiave della via. Si sale dritti al primo chiodo, poi con arrampicata su buoni appigli si obliqua a sinistra seguendo le protezioni. Da lì si traversa e si esce lungo lo spigoletto con difficoltà minori fino a trovare un cordone su clessidra (3ch., sosta su 2 cless.)

L6 - IV - 45m
Dalla sosta si sale per placca, si prende una fessura con un grande masso allungato che suona a vuoto (attenzione), poi dritti cercando il facile fino in vetta alla seconda spalla (1 ch., varie cless., sosta su 3 spit)

Discesa

Si può scendere per il Bonacossa oppure in doppia dall'ultima sosta al forcellino (60m, fare attenzione). Andando a prendere la sosta alla sinistra del grande massone arrotondto, faccia a valle.
Poi fino alla sosta con catena di Sua Mollosa Grossezza. L'ultima doppia di 55m conduce a terra.


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